Tutto ha avuto inizio a gennaio con Pellicolamag Vol. 1, il primo numero cartaceo della rivista omonima dedicata alla fotografia analogica con un esordio di stampa dedicato al Tempo.
I lavori presenti mi hanno portato ad una personale riflessione e ricerca su come rappresenterei il tempo fotograficamente.
Qualche mese dopo, ad inizio primavera, andavo a piedi a trovare i miei genitori, percorrendo l’argine del torrente Muson dei Sassi e guardavo le erbe crescere.
Le conoscevo tutte.
Non sapevo i nomi con precisione, ma l’occhio le riconosceva perché erano erbe che nascevano anno dopo anno, erano le stesse che vedevo fin da piccola quando nonna mi portava a passeggiare sull’argine.
In quel momento ho pensato “ecco come rappresenterei il tempo, fotografando questi argini un po’ alla volta, con queste erbe che ne testimoniano il passare”.
C’è il tarassaco che non vedo subito, ma so che c’è, perché i campi ne sono pieni e alcune donne escono a raccoglierli finché sono in forma di rosetta. Lo scovo non appena fa uscire il gambo con al culmine il suo fiore giallo, il dente di leone. La sua vista mi accompagna per un bel po’ di mesi, finché il fiore completa la maturazione trasformandosi in soffione. Il tempo è passato e altro ne deve passare perché i soffioni vengano spogliati dal vento che si porta via i semi.
Ci sono i carletti, il cui vero nome è Silene Vulgaris, che inizio a vedere quando è ora di raccoglierli. Si nascondono in mezzo all’erba che inizia a crescere sempre un po’ più alta di loro, ma io conosco a memoria anche i posti in cui crescono e ogni anno son sicura di ritrovarli.
Quelli che non vengono raccolti iniziano a crescere e in cima al gambo che si fa alto alto, prendono posto dei fiori bianchi a campanula. Per me è un periodo ghiotto quando è ora di raccoglierli per mangiarli e di meraviglia ogni volta che vedo quei fiori a campanula, perché non mi capacito che arrivino dalla stessa pianta. Da un lato penso che se non li avessi mangiati, ora sarebbero dei fiori, dall’altro che devo assolutamente ricordarmi il punto in cui ci sono questi fiori, per tornare a raccogliere i carletti la prossima primavera.
Ad ogni modo, ecco come decidevo che avrei rappresentato il tempo e finché lo pensavo, mi dicevo che avrei potuto metterlo in pratica, avrei dovuto fotografarle queste mie erbe che crescono, ma poi è arrivato l’alluvione e la rottura di quell’argine a me tanto caro e pieno di ricordi.
Per la sua ricostruzione hanno utilizzato tantissima terra e pietre; terra e pietre che non so da dove arrivino e che erbe nascondano.
Il vecchio argine non c’è più, ora passeggio su uno nuovo che in realtà è un doppio argine, uno alto e uno un po’ più in basso. In alcune parti le erbe sono già cresciute. Oggi le guardavo e pensavo “Ma da dove venite? Chi siete?”.
Sono enormi, hanno fusti grossi con palloni in fondo al gambo o alcuni già dei grandi fiori.
“Quindi siete voi le nuove erbe che mi accompagneranno col tempo nelle prossime passeggiate? Voi, anno dopo anno…” Ho bisogno di accettarlo e poi forse in una delle prossime primavere le fotograferò per la mia personale rappresentazione del tempo.